IL SACRIFICIO DEL CERVO SACRO

Lanthimos, il regista, gioca ancora una volta al gioco del ”non vi farò capire un cazzo, ehehhe”.

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Sto tizio dal nome impronunciabile a quanto pare adora proprio fare film in cui lo spettatore non capisce una sega di niente, costringendoti a fine visione a sentirti non solo a disagio perché inizi a chiederti se sei stupido o meno, ma anche a ricorrere a Google per cercare lo straminchia di senso ai deliri di due ore a cui hai assistito.

Tra i protagonisti del Sacrificio del Cervo Sacro troviamo Colin Farrell nel ruolo di un medico padre di famiglia, barbuto e megafregno, che coltiva una strana amicizia con un adolescente di nome Martin di cui all’inizio non riusciamo a comprenderne la motivazione. Attorno a Colin ruota una famiglia dove la madre è Nicole Kidman e i figli due piccoli disagiati inquietanti, anche se meno di Martin che nel frattempo si trasforma in stalker e perseguita Colin in ospedale, lo invita a casa sua tentando di farlo accoppiare con la madre ninfomane, e si insinua nella famiglia del dottore allisciandosi per bene la figlioletta adolescente.

Fin quando scopriamo che Martin è il figlio di un uomo morto sotto i ferri durante una operazione tenuta dal Dr Farrell che in passato è incappato in episodi di alcolismo.

Ah.

Colin cerca di sciacquarsi dalle balle l’insistente Martin che tenta in tutti modi di trasformarlo in una figura paterna ma quello, incazzato nero, gli lancia una maledizione: i membri della sua famiglia inizieranno a non camminare più, smetteranno di mangiare e sanguineranno dagli occhi, poi schiatteranno. Per salvarli Colin dovrà per forza di cose ucciderne uno. Beh, se po’ fa dai, accoppa tua figlia innamorata di Martin che è palesemente una decerebrata e bon, hai risolto.

Colin però ci mette un sacco a decidere come è giusto che sia ed è questo il sacrificio a cui fa riferimento il titolo, un rifacimento della storia di Ifigenia che viene salvata da un cervo inviato dalla dea Artemide prima di essere uccisa dal padre. Solo che qui non c’è  deus ex machina che tenga, Colin, devi scegliere tu chi fare fuori e devi pure sbrigarti che questi iniziano a piangere sangue dagli occhi come la madonna di Civitavecchia e fa un po’ schifo a dirla tutta.

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”Papà, datte na mossa”

E niente, con questo film Lanthimos vuole sottolineare la totale incapacità dell’uomo di governare il suo stesso destino, davanti a cui non gli resta che piegarsi a 90. Ed è per questo che i personaggi risultano freddi, emotivamente assenti e distaccati, privi di pathos, accettano il loro fato senza troppe lagne e si muovono come se fossero ciechi. Il tutto condito da una regia appesantita dalla sensazione di minaccia incombente, effetti sonori improvvisi e disturbanti, scene ambientate in ospedali dai corridoi lunghissimi e altezze vertiginose, come a ribadire che non c’è scampo da nessuna parte.

L’uomo è una mera pedina nelle mani del cosmo e la sua presenza talmente irrisoria che a nessuno frega niente di chi muore e chi no. Non fregherà neanche a voi, in fin dei conti, e vi accorgerete che la visione di questo film vi renderà freddi e acritici proprio come i suoi protagonisti.

VOTO: 7/10
Interessante ma non alla portata di tutti: simbolismo a gogò, trama complessa, livello di attenzione alto, preferibilmente da guardare con qualcuno dal QI più alto del vostro in grado di rispondere ai mille perché con cui vi troverete ad avere a che fare durante la visione.

Se ti piace la regia di Lanthimos guarda anche THE LOBSTER

Trailer de ”Il sacrificio del cervo sacro”

SPIDERMAN – UN NUOVO UNIVERSO

Un gioiellino animato divertente, intelligente e più colorato di un trip

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Lo ammetto, ero reticente. La verità è che quando uscì al cinema andai in fissa per lo Spiderman di Raimi e da lì in poi per me l’Uomo Ragno è sempre stato quello con l’indimenticabile pirla-face di Tobey Maguire.

Che poi a me i supereroi piacciono il giusto, nel senso che al quinto film sugli Avengers inizio a triturarmi le palle, tanto si finisce sempre a lottare contro il nemico distruggendo intere città (mi sono sempre chiesta chi ricostruisce dopo…qua in Italia per rifare un ponte ci vogliono dai 2 ai 100 anni, in America c’avranno un supereroe con i poteri dell’edilizia. Chissà perché ora mi sto immaginando Toninelli col mantello). 

Comunque, in molti mi avevano consigliato questo film e a detta della maggioranza è uno dei migliori film su Spiderman; ora che l’ho visto non posso che concordare e il merito va all’innovazione a livello di storia, alla grafica accattivante e la colonna sonora paurosa. Si tratta di un prodotto moderno, giovane e originale a partire dall’animazione realizzata con vari stili; dalla CGI al 3d fino alla stop motion e la ripresa fumettistica delle didascalie che riportano i pensieri dei personaggi.
Il risultato è un vortice caleidoscopico che rende le battaglie epiche e sferza il ritmo della narrazione mentre dipinge sullo sfondo una New York fedele all’originale, multiculturale, variegata, underground e piena di graffiti. 

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Il protagonista, Miles Morales, viene morso dal famoso ragno che lo trasforma nel nuovo Spiderman a cui è affidato il compito di fermare il malvagio Kingpin: a dargli manforte arrivano gli Spiderman dalle altre dimensioni, ovvero l’originale Peter Parker, Spider Gwen, SpiderMan Noir, Peni Parker e Spider Ham. 

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Che faighi

Ora, non sono ferrata sul multiverso dei fumetti Marvel e quindi eviterò barbose spiegazioni ripescate da Wikipedia, mi limito a dire che la storia funziona perché, sebbene segua il pattern classico della genesi dell’eroe (scoperta dei poteri, training per imparare a usarli, perdita di un affetto, risoluzione del conflitto), è interessante l’interazione tra i diversi supereroi e al contempo assistere alla crescita personale di Miles. Il protagonista maturerà il suo ruolo da Spiderman attraverso un percorso di consapevolezza e il dolore della perdita di una persona amata, step obbligato per tutti suoi colleghi del multiverso. 

Questa nuova versione di Spiderman mette d’accordo i megafan, i neofiti e chi, come me, non odia il genere ma nemmeno lo ama; ci riesce grazie allo stile accattivante supportato da una colonna sonora potente affidata a giovani artisti come Post Malone, autore del singolo di lancio ”Sunflower”. 

VOTO: 8/10
Uno spettacolo visivo notevole, dialoghi brillanti, narrazione vivace, personaggi simpatici e musiche top: se la figaggine fosse un film di animazione per me sarebbe questo.
Ha pure vinto l’Oscar, ci sarà un motivo. 

I’M ROSCIA AND I KNOW IT

Riassunto di una vita da Pel di Carota

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Quando sei una piccola bimba roscia la vita ti dà immediatamente un assaggio di quanto farà cagare. 

Questo perché come tutte le minoranze, sin dall’asilo ti ritrovi a essere quella diversa, pelle bianca stucco e una fratta di capelli color carota in testa, adorata dalle maestre in qualità di creatura rara e pucciosa e diffidata dai compagni che non capiscono se fai parte o meno del loro ecosistema. 

Quando ero piccola i soprannomi si sprecavano: Anna dai capelli rossi, Pippi Calzelunghe, Pel di Carota, Rosso Malpelo, fino all’originalissimo Ruggine affibbiatomi da un compagno di classe ripetente alle medie che aveva tipo 20 anni, denti enormi da castoro, un eritema che gli copriva mezza faccia e le stesse dimensioni di un cucciolo di betoniera. Ricordo che tra i corridoi era un continuo ”Roscio tuo chiuso”, che ancora oggi non capisco cosa cazzo significa, e poi giù con le dicerie secondo le quali i rosci puzzano, portano sfiga e non hanno l’anima (posso garantire che puzzo solo quando non mi lavo, come tutto il resto del genere umano; per la sfiga sto portando avanti degli studi, per l’anima invece mi concedo un enorme punto interrogativo che sarà il Signore -o Satana- a risolvere).

Comunque al liceo essere roscia non contava una sega ed ero talmente impopolare che si erano scocciati persino di chiamarmi Pippi, cosa che all’epoca mi infastidiva ma a ben pensarci magari fossi stata lei, quella viveva da sola con un cavallo e una scimmia…che minchia si può volere di più dalla vita, io boh. 
Fin quando, un giorno, da rospetto roscio occhialuto vestito da sacco dell’immondizia mi sono inspiegabilmente trasformata in roscia fregnetta, notando un cambio di rotta da parte dei maschi che fino al giorno prima mi schifavano.

All’improvviso le rosce erano diventate sogno erotico collettivo, tutti volevano provare l’ebbrezza del rosso naturale e vantarsene con gli amici che ancora si facevano le pugnette su Nami di One Piece e Misty dei Pokemon. Era ovviamente di determinante importanza scoprire se ”pure sotto sei rossa?”, e la risposta era no guarda, ho i peli pubici viola, che poi essendo complementare del rosso ci stanno dapaura (edit: dalla regia mi dicono che il complementare del rosso è il verde ma noi ci prendiamo la licenza scrittoria e tanti cà🤟). 
Subito dopo si cercava conferma al detto rossa di cavei golosa di osei’‘ (rossa di capelli golosa di uccelli), come se invece le bionde e le more fossero a digiuno di nozioni ornitologiche. 

Con l’età adulta la gente ha continuato a farmi i complimenti per il colore dello scalpo, giusto per quello perché a una certa cresci e non sei più una deliziosa bimbetta pucciosa ma un essere acido a cui rode il culo un giorno sì e l’altro pure, e hai voglia a fingere dolcezza quando nel sangue ti scorrono in egual misura rabbia e caffeina. 

Spesso, quando vado in vacanza o giro per Roma gli inglesi mi chiedono informazioni scambiandomi per una di loro e io sono sempre tentata di rispondere: 1) parlo solo romanaccio con inflessioni ciociare, leave me alone 2) mi faccio il bidè almeno 3 volte al giorno, a differenza tua. 
Ma l’incontro della vita è avvenuto quando lavoravo in biglietteria all’Auditorium e venne un tizio che con fare piacione esordì dicendo: 
che bei capelli signorina, sono naturali?
Io: eh, sì
Lui: voi rossi siete tanto particolari…perché avete un cromosoma in più, giusto?

Giusto. A trent’anni passati posso iniziare a credere che sia quello della sfiga, a pensarci bene.

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THE LIGHTHOUSE

Mitologia, simbolismi, regia sopraffina. E Robert Pattinson.

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Una pellicola completamente in bianco e nero, un faro e due marinai: un nodoso Willem Dafoe nei panni di Wade e un maturo Robert Pattinson in quelli di Ephraim ( in questo film è ancora più evidente la bravura di questo attore coi controcazzi, che ancora mi chiedo come abbia potuto lordare il suo cv recitando in quella cagata sciolta di Twilight…vabbè).

Tutto inizia con ‘sti due che vengono mandati su un’isola a governare il faro e sin da subito la convivenza risulta difficile: il giovane Pattinson deve pulire la merda incrostata e rassettare la casa lercia mentre il vecchio non fa altro che scoreggiare, bere e copulare con il faro (oh, ognuno ha i suoi gusti non siamo qui per giudicare).

Fatto sta che giorno dopo giorno la convivenza forzata conduce allo sbrocco e Pattinson si incazza con i gabbiani fino a ucciderne uno, un’azione sconsiderata nel mondo marinaresco poiché uccidere un gabbiano porta sfiga, tipo.
Questo sta talmente sbroccato che vede sirene spiaggiate e copula con le statuette, annebbiato un po’ dall’alcool e un po’ dalla presenza molesta di Wade che è un vero spaccacoglioni, non lo lascia mai in pace e gli sta sempre addosso proprio come un vecchio ributtante che odia i ggggiovani e non gli sta bene una mazza.

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”Ao, mo m’hai rotto il cazzo vai a pulire il cesso. Co la lingua, me raccomando”

Nel momento in cui i due devono lasciare l’isola sopraggiunge una tempesta e la nave che doveva raccattarli non si presenta, costringendoli a prolungare il soggiorno
che nel frattempo ha assunto sfumature alla Shining, visto che i due non desiderano altro che accopparsi a vicenda.
Nella rappresentazione visiva della pazzia a cui sono condannati si celano i simbolismi del film, a partire dalla figura (fallica) del faro e della sirena, entrambi rappresentazioni della sessualità repressa, fino ad arrivare al rapporto tra i marinai intesi come specchio l’uno dell’altro. Oltre a rappresentare un conflitto generazionale in cui il vecchio appassionato detesta il giovane mosso dalla mera necessità di denaro piuttosto della fame di avventura, si affaccia l’ipotesi che i due siano la stessa persona alle prese con il delirium tremens della solitudine e delle varie astinenze.

La realtà appare dunque distorta e non si capisce se la lucidità viene a mancare o non c’è mai stata: il faro si trasforma nello scrigno dentro cui si cela la verità simboleggiata dalla luce, a cui il giovane Pattinson non ha accesso ma brama più di ogni altra cosa. Fin quando se ne appropria facendo la fine di un moderno Prometeo, colpevole di aver trafugato il fuoco agli Dei per regalarlo agli uomini e condannato al tormento eterno con il fegato divorato dai gabbiani.

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Avrà finalmente trovato un po’ di fi*a?

L’inquietudine è il leit motiv di questo film, decisamente peculiare in termini di scelte stilistiche e costruito attraverso un complesso crescendo di confusione indotta da giochi di luci e ombre sui volti dei protagonisti, la sensazione di asfissia e di disagio all’interno della casa, l’acqua putrida che invade i pavimenti, la sporcizia.
Un susseguirsi ben orchestrato di presagi mortiferi conduce lo spettatore attraverso un viaggio in cui non si arriva mai a destinazione e gli incubi assumono i contorni inquietanti di un faro che condanna alle tenebre eterne.

VOTO: 8/10
Da recuperare tipo subito: un film che si distingue per le scelte registiche e l’affascinante  storia densa di echi marinareschi, senza contare la bravura indiscussa dei due protagonisti perfettamente a proprio agio nei loro ruoli.

Guarda il trailer di THE LIGHTHOUSE (2019, regia di Robert Eggers)