CHIAMAMI COL TUO NOME

”Strappiamo via così tanto di noi per guarire in fretta dalle ferite che finiamo in bancarotta già a trent’anni”

chiamami

Durante la quarantena decido di sconquassarmi il cuore con questo film, tratto dall’omonimo romanzo di André Aciman che lessi tempo fa e mi lasciò addosso un senso di incompiutezza nei confronti della vita in generale, come se oltre quelle ultime pagine dovesse ancora succedere tutto e il fulcro della storia fosse lì, nel dopo, racchiuso dentro ciò che non si legge e non è stato raccontato. 

In fondo è stata la stessa sensazione lasciatami dal film, che è riuscito a regalare una forma poetica e carnale al rapporto tra i due protagonisti: merito della bravura degli attori e soprattutto del giovane Elio (Timothée Chalamet), irrequieto come tutti gli adolescenti, alla scoperta di sentimenti ed esperienze destinate e segnarlo profondamente in quel ‘dopo’ che la pellicola non mostra, ma lascia intendere sul finale. Lo struggente dolore di Elio sciolto in lacrime in primo piano diventa il riassunto del film, la presa di coscienza nei confronti di un sé maturato, ormai irrimediabilmente segnato da quella che doveva essere una parentesi estiva che invece lo terrà intrappolato al suo interno per (forse?) il resto della vita. 
Il ragazzino lascia spazio all’uomo in cui si è trasformato senza rendersene conto, costretto a fare i conti con una sofferenza adulta. La perdita dell’amore assume la forma di un pianto solitario, che il regista regala solo a noi spettatori, escludendo i genitori che si muovono alle sue spalle come se nulla fosse. 

Il film è lento, dura più di due ore. Somiglia a i classici film francesi in cui tutto sembra tirato per le lunghe e non succede mai nulla, per questo non piacerà a chi si annoia facilmente. Il ritmo rallentato ricalca l’incedere delle pigre giornate estive vissute dal protagonista, alle prese con i primi turbamenti sentimentali e sessuali espressi attraverso ardite metafore come la pesca dentro cui Elio affonda le dita, trasformandola in oggetto erotico: pesche e albicocche come simboli ricorrenti della voluttuosità del corpo senza sesso, né uomo né donna oppure entrambi, incarnati nelle figura di Marzia e Oliver.

La colonna sonora è una chicca per intenditori, l’ultima pennellata su un quadro già di per sé perfetto: accompagna e addolcisce, accarezza con garbo le corde dell’anima. 
Sinestetico, ecco come descrivo questo film. Come un pugno morbido in piena faccia. 

Consigliato: 9/10
Se volete rovinarvi la quarantena guardate questo film. Idem se volete darle un senso. 

Autore: candidanoise

Arrivo, sto scomoda e me ne vado

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